Case e strade
Osservando il paese dall’alto si nota la struttura regolare della disposizione delle vecchie case, le une affiancate alle altre, su file parallele da est a ovest. La sequenza di case con il cortile e il pozzo in comunione veniva chiamata “simp” o “ande” (maniche).
L’accesso ai cortili avveniva di solito attraverso un cancello di dimensioni tali da consentire il transito dei carri agricoli; questo cancello era molto rudimentale, con telaio in legno e una rete metallica inchiodata, ed era chiamato “bare”. Così si chiamavano anche il cancello dell’orto (“bare ‘d l’ort”) e il cancello del pollaio (“bare dal pulì”).
Un’altra modalità di accesso ai cortili era il “mete”, un corridoio molto stretto che tagliava l’abitazione in modo da collegare il cortile alla strada posta sul retro senza passare dal “caral” (il passo carraio). A memoria si ricordano quattro “mete” ma oggi ne esistono solo più tre: il “mete” del Tavol in via Capitan Ferrero (oggi non esiste più perchè la casa è stata demolita), il “mete” di Ottorino e il “mete” del Gian, entrambi in una stradina interna di via San Grato, il “mete” in via Don Bartolomeo Villa, che però passa attraverso la “travà” (fienile).
In una stradina interna di via della Consolata (parallela a via Piave) ci sono anche due archi di mattoni che uniscono le case da un lato all’altro della strada.
La maggior parte delle costruzioni risale alla fine del ‘700 o alla prima metà dell’800. Si ha però notizia da vari documenti di case già esistenti alla fine del 1500. Nel corso di una ristrutturazione negli anni ’70 è stato trovato sotto un pavimento uno strato di brocche in terracotta che ricoprivano l’intera superficie della stanza, probabilmente per bloccare l’umidità, tecnica questa già in uso nel periodo romano.
La casa tradizionale era strutturata con due corpi di fabbrica distinti, uno di fronte all’altro (la casa a nord, la “travà” a sud), separati fra loro dal cortile in terra battuta (“èra”) dove razzolavano galline e conigli, al fondo del quale c’era il letamaio (“tampa”).
Esposta verso sud, la casa vera e propria era in gran parte utilizzata come abitazione ed era costituita da un piano terreno senza cantina ed uno o due piani superiori. Al piano terreno c’erano le camere da letto e la cucina con un cantinotto (il “crutin”) sul retro, mentre al piano superiore le stanze spesso non erano abitate ma adibite a granaio. Il pavimento delle stanze era in terra battuta o mattoni. Quasi sempre le stanze erano fra loro separate, con accesso dal cortile o dalla balconata ai piani superiori (chiamata “lobia” o “galarìa” a seconda se di legno o di cemento, e coperta dalla “pantalera” del tetto).
La “travà” era in genere adibita a stalla e a ricovero dei carri agricoli, anche se in alcune case la stalla era nel corpo di fabbrica principale. Il piano superiore della “travà”, poggiato su una soletta di legno chiamata “balaur”, era adibito a fienile ed era chiamato “staval”. Il fieno ammucchiato nella staval veniva chiamato “‘tpul”.
A volte la “travà” era chiusa da assi di legno invece che da mattoni, per motivi economici; in particolare venivano usate le “cune”, cioè il primo e l’ultimo asse che si ricava dal tronco, con un lato piano e uno curvo, che avevano un costo decisamente più basso dei mattoni e non potevano essere utilizzati per altri scopi.
In alcuni cortili c’era una “benna”, ossia una piccola tettoia adibita a ricovero degli attrezzi agricoli, costruita in legno con il tetto in paglia di biada e le pareti di stocchi (fusti del mais).
Oltre la travà spesso c’erano il pollaio e l’orto, dove si coltivavano soprattutto cavoli e fagioli. Ogni casa disponeva di un pozzo artesiano (grazie alla presenza in zona di falde acquifere, a 6-8 metri di profondità) e ci si riscaldava con il camino della cucina (furnel), che in anni più recenti è stato sostituito da una stufa a legna (“putagé”).
A partire dagli anni ’50 del XX secolo molte case sono state ristrutturate e sono state edificate nuove abitazioni, inizialmente simili nella struttura a quelle originarie, poi invece costruite con la tipica struttura della villetta unifamiliare.
Vie, piazze e rioni
Le vie di Carrone disposte in direzione nord-sud sono via Strambino, via Garibaldi e via San Grato; quelle in direzione est-ovest sono via Fra Giacomo Costanza, via XI Febbraio, via della Consolata, via per Mercenasco; ci sono poi altre tre vie secondarie: via Piave, via Don Bartolomeo Villa, via Capitan Ferrero.
Non esiste una piazza di fronte alla chiesa e il sagrato si trova in una rientranza della via San Grato stessa.
A parte i nomi storici di vie come Garibaldi, Piave o XI Febbraio, i nomi delle rimanenti vie fanno riferimento a personaggi locali:
– San Grato: nome del patrono di Carrone, al quale è dedicata anche la Chiesa. Visse nel V secolo, fu vescovo di Aosta e divenne poi patrono della città.
– Fra Giacomo Costanza: nato a Carrone nel 1722 e morto a Messina nel 1766, dopo anni di vita militare divenne frate nell’Eremo di S. Maria degli Angeli, nei pressi di Messina.
– Don Bartolomeo Villa: originario di Vische, parroco di Carrone dal 1851 al 1887.
– Filippo Crosio: politico locale (1915-1984).
Non è invece certo se il Capitan Ferrero (al quale sono intitolate una via e una piazza) sia il personaggio risorgimentale Vittorio Ferrero.
Negli anni passati era abbastanza sentita la divisione del paese in due rioni, caratterizzata a volte da una certa rivalità. “Sodre” è la parte nord del paese, mentre “Ruse” è quella più a sud, anche se il confine tra i due rioni non è ben definito, all’incirca all’altezza della casa parocchiale.