Breve storia delle principali industrie di Strambino di un tempo

I Lanifici Azario

Giuseppe Azario (originario di Pettinengo, nel biellese) alla fine del 1800 venne a lavorare nella conceria che si trovava a Crotte, in località Tebio, poi si mise in società con i proprietari e trasformò la conceria in lanificio, diventandone in seguito il padrone e chiamandolo “Lanificio Giuseppe Azario”.

Questo stabilimento funzionava inizialmente grazie all’acqua di un canale che, partendo dal torrente Chiusella e passando per Realizio, faceva girare la turbina e a sua volta, tramite una serie di cinghie e pulegge, tutti i macchinari.

All’inizio degli anni ’20 subentrarono nella gestione del Lanificio i quattro figli maschi di Giuseppe (Ido, Giacinto, Romildo, e Tancredi).

Dopo aver progettato di costruire una nuova fabbrica proprio a Carrone (al fondo di via Fra Giacomo Costanza, dove c’era la canale che attraversava la Roggia), Ido abbandonò il progetto e tornò nel biellese. Gli altri tre fratelli invece continuarono a gestire la fabbrica del Tebio. Verso la metà degli anni ’30 anche Tancredi si divise dai fratelli e costruì un altro lanificio appena dopo il passaggio a livello della stazione di Strambino, che chiamò “Lanificio Tancredi Azario”.

La produzione delle due fabbriche era la stessa: in estate pezze di lana per cappotti, in inverno pezze per abiti estivi.

Il “Lanificio Tancredi Azario” continuò la sua attività sino alla fine degli anni ’60. Lo stabilimento esiste ancora oggi ed è occupato da piccole officine artigiane. Invece il “Lanificio Giuseppe Azario” del Tebio , dopo varie vicende familiari, chiuse all’inizio del 1963 e nei suoi locali venne trasferito un altro lanificio (che gli Azario avevano rilevato a Torino, in corso Belgio verso la metà degli anni ’50) di nome Litex, anche se una parte degli operai venne licenziata e andò a lavorare presso il Cotonificio di Strambino. Contemporaneamente il figlio di Giacinto, di nome Giuseppe, costruì un suo stabilimento (la “Filatura Giuseppe Azario”) a Mercenasco lungo la statale, riassumendo una parte degli operai rimasti senza lavoro. La Litex del Tebio lavorava per l’alta moda, però le entrate non coprivano le uscite e dopo una decina di anni andò in fallimento. Le mura dello stabilimento del Tebio vennero vendute dal tribunale e oggi una parte è usata per ricovero camper e roulotte, mentre l’altra ospita un’azienda chimica e piccole aziende artigiane.

Il Lanificio Tancredi Azario di Strambino in una cartolina dell’epoca
Il Cotonificio

A Strambino esisteva anche un altro stabilimento tessile: il Cotonificio, che nel periodo di massimo splendore, agli inizi degli anni ’60, dava lavoro a circa 500 persone del circondario.

In origine si chiamava “Manifattura di Strambino” ed era una filatura, dotata di un convitto gestito dalle suore, dove dormivano le operaie che venivano da fuori.

Quando nel 1954 passò di proprietà divenne “Cotonificio Valle Susa”, il convitto non c’era più, ma la fabbrica continuò a produrre filati per gli altri stabilimenti “Valle Susa” che c’erano in Piemonte.

Chiuse i battenti nel 1962 e venne riaperto con il nome di ETI, una società a partecipazione statale che andò avanti per una quindicina di anni. Negli anni ’70, dopo cassa integrazione e ipotesi di chiusura, l’azienda fu rilevata da un industriale biellese e tra sospensioni e riprese di attività arrivò alla chiusura definitiva nel 1991.

Successivamente il comune di Strambino, dopo aver acquistato l’intera area, cedette parte dei capannoni ad attività produttive e convertì gli altri spazi per servizi: sede del mercato ambulante settimanale, strutture socio sanitarie (ASL, Medicina Legale, Croce Rossa, Protezione Civile) e ricreative (Salone pluriuso per feste e rappresentazioni teatrali, Gruppo anziani, Bocciodromo).

La fonderia Fospal

La fonderia FOSPAL (Fonderia Officina Strambino di Panetto e Lodo), di proprietà dell’ex sindaco di Strambino Antonio Panetto, negli anni ’50-’60, fondeva alluminio e dava lavoro a circa 80 persone; lavorava per l’Olivetti, per la Fiat e anche per l’esportazione, specialmente con la Francia. E’ stata chiusa negli anni 2000.

La Fospal (tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70)
Le fornaci

A Strambino dopo la guerra c’erano due fornaci che producevano mattoni pieni, a quattro o sei fori, coppi e tegole.

Una era la fornace Sado (di cui resta ancora la ciminiera), vicino all’attuale sede del mercato ambulante, rimasta in funzione sino alla fine degli anni ’60 L’altra fornace, chiamata comunemente “furnas veja”, si trovava lungo la ferrovia, a Mercenasco, ed era collegata con la stazione di Strambino da un apposito binario (di cui si intravedono ancora tracce) che collegava anche il Cotonificio (all’altezza del quale si divideva: un ramo entrava in questa fabbrica, l’altro proseguiva per la fornace). E’ stata chiusa verso la metà degli anni ’50.

 

Claudio Actis Alesina