La “levatrice” di Carrone
Angela Grassino sposata Crosio (1874-1965), chiamata da tutti “Angilina ad Giacat”, è stata per anni la “levatrice” di Carrone. Non aveva studiato, non era un’ostetrica, ma ha aiutato a nascere quasi tutti i bambini del paese dall’inizio del 1900 fino alla fine degli anni ’50. Non sappiamo come e quando incominciò questa attività, ma sappiamo che anche il parroco Don Gaspardino, incoraggiava questa sua inclinazione a stare vicino e assistere le donne che dovevano partorire. Angilina era mia nonna paterna e io me la ricordo all’inizio degli anni ’50, quando ero bambina, sempre vestita di nero: ricordo la gonna lunga, il grembiule (“faudal”) e in testa il foulard, sempre nero, piegato a triangolo con le due punte girate in su e ripiegate.
Già dai primi decenni del 1900, quando una donna doveva partorire, si andava a Candia con carro e cavallo a prendere l’ostetrica ma se il travaglio era lungo e l’ostetrica non poteva restare, allora si andava a chiamare Angilina: lei si lavava, cambiava vestito (sempre nero) e andava vicino alla partoriente. Capitava che molte volte le donne partorissero solo con lei, in mancanza dell’ostetrica o quando non arrivava in tempo, naturalmente con l’aiuto delle altre donne della famiglia della puerpera. A partire dalla metà degli anni ’50 a Carrone venivano chiamate diverse ostetriche, a volte una di Caluso, Ines Capris, a volte l’ostetrica Caffaro di Strambino, ma molto spesso l’ostetrica Flora Bianco originaria di Caluso, ma abitante a Strambino. L’ostetrica Flora, prima di recarsi dalla partoriente, andava a prendere Angelina a casa sua. Questo è successo per alcuni anni, fino al 1957, anno di nascita dell’ultimo bambino di Carrone nato in casa con l’aiuto di Angilina, quando ormai la “levatrice” aveva 84 anni.
Angilina a metà degli anni ’50, insieme ad un bimbo della sua famiglia, nato anche grazie al suo aiuto
Negli anni successivi, anche a Carrone le donne non hanno più partorito in casa e hanno preferito andare in ospedale, ma venivano spesso seguite, sia durante la gravidanza che durante il parto, dall’ostetrica Flora.
L’usanza di un tempo, quando era normale partorire in casa, era che dopo il parto la donna non si alzasse dal letto anche per più di un mese, servite e riverita dal resto della famiglia. E così avveniva che la mamma, non potendo portare il bambino in chiesa per il battesimo, aspettava a casa che le portassero il cero battesimale da spegnere. La puerpera poi riportava il cero in chiesa dopo quaranta giorni, accolta dal prete che la aspettava al’ingresso della chiesa per impartirle la benedizione. Il giorno del battesimo insieme al padre, alla madrina, al padrino e ad altri parenti, c’era anche Angilina, che è stata ritratta in diverse foto con in braccio il neonato.
Anche i bambini, esclusa l’uscita per il battesimo, venivano tenuti in casa con la mamma per tutto il tempo che lei stava a letto. Era usanza in quegli anni fasciare i bambini (comprese braccia e gambe) per i primi mesi di vita. La culla dove venivano sistemati era di legno, chiusa sopra da cinghie e nastri che passavano dentro ad apposite aperture lungo i bordi, per evitare che il bambino cadesse. La parte terminale di queste cinghie, tenuta più lunga, veniva tenuta in mano dalla mamma e tirata per cullare il bambino, in alternativa ai movimenti ritmici e ripetuti del piede sulle basi ricurve della culla stessa.
C’erano diverse misure di culla: la piccola, chiamata “cun-a”, veniva un tempo appesa al soffitto in modo che rimanesse sospesa sopra il fondo del letto dei genitori. Quando il bambino doveva essere allattato, la culla veniva calata e appoggiata sul letto, evitando alla mamma il disagio di alzarsi di notte in un ambiente che in inverno non era riscaldato. C’era poi un altro tipo di culla per bambini più grandicelli, il “cunun” che però in certi casi poteva anche accogliere due bimbi (magari nati ad un anno di distanza tra loro) messi con le teste ai lati opposti, in modo che si toccassero fra loro i piedini.
Due culle di una famiglia carronese: una “cun-a” allestita con un bambolotto e biancheria d’epoca e un “cunun”
Oltre ad Angelina, che aveva il ruolo di levatrice, c’erano in paese altre donne che svolgevano attività importanti per tutta la comunità: Maria Crosio (“Maria ad Giacat”, 1916-2003) faceva le punture.
C’era poi un gruppo di donne e uomini che andavano ad aiutare i familiari a vestire i morti, prima che di tutti gli aspetti di un funerale se ne occupassero le pompe funebri; si ricordano in particolare Caterina Autero sposata Grassino (“Catarina da Spirit”, 1903-1991), Maria Crosio (“Ieta dal Palas”, 1886-1969), Giuseppe Vassia (“Pinas” 1884-1960), Filippo Crosio (1915-1984) e Lorenzo Vassia (1925-2014).
Laura Crosio con la collaborazione di Cecilia Grassino e Irma Vassia